Innovazione

letto 2588 voltepubblicato il 19/02/2010 - 14:24 nel blog di Gianluigi Cogo

Condivido anche qui una che quasi mi obbliga a chiarire il significato di "innovazione". Nulla di assoluto, solo un contributo sul tema.

E' anche una piccola risposta per i discenti del progetto Linea Amica che, grazie al lavoro dei colleghi del Formez stanno transitando qui nel nostro spazio collettivo, i quali, alla fine di ogni lezione mi chiedono: come si può fare?

Non ho una risposta sempre pronta. Ma porto esempi, spingo all'emulazione e spesso insisto sul cambiamento dei modelli organizzativi.

Enjoy

 

 

In un paese depresso dove la mediocrità non ha limiti, sento parlare sempre più spesso di innovazione e di innovatori.

Forse è il caso di meditare un po’ e non lasciarsi travolgere dall’entusiasmo e dalla passione. Non bastano questi elementi per innovare e per cambiare. Non basta nemmeno farsi pervadere ogni giorno dall’ultima tecnologia digitale. L’inovazione non è solo tecnologia.

Ecco il punto, dolente. Ogni smanettone abile, curioso e appassionato di tecnologia si erge ad innovatore. E spesso si spaccia pure per esperto della materia.

Senza scomodare i dizionari ufficiali, basta dare un occhiata alla nostra cara per rendersi conto che l’innovazione è una filosofia complessa che si attua solamente cambiando i processi organizzativi e non solo: “..Innovazione è una’attività di pensiero che, elevando il livello di conoscenza attuale, perfeziona un processo….”.

L’innovazione non è “rinnovamento tecnologico”. L’innovazione non è “adeguamento tecnologico”. L’innovazione non è “predisposizione tecnologica”. E lo sottolineo ancora, perchè la maggiorparte dei cenacoli, dei social network tematici, dei blog che argomentano sul tema, continuano a confondere il costante e obbligato rinnovamento tecnologico, con l’innovazione.

Purtroppo, da che mondo è mondo, le organizzazioni, siano esse complesse come le aziende, estese come gli ecosistemi, semplici come le famiglie, naturali come le società civili, tendono a non innovare, anzi, a conservarsi.

L’innovazione, infatti, si contrappone sempre più spesso alla conservazione e la conservazione non è quasi mai ideologica. Molto spesso è puro opportunismo. E’ difesa ad oltranza.

Scrivo queste note, principalmente per i miei discenti del corso , ma non solo. Credo, infatti, che un bagno di umiltà sia doveroso da parte di tutti quelli che confondono il buon uso degli strumenti con l’innovazione.

Mai, o quasi, la tecnologia ha cambiato in meglio le organizzazioni. Certamente ha contribuito a cambiare gli stili di vita, ma le organizzazioni hanno comunque resistito e si sono autodifese.

Come afferma spesso l’amico : “per innovare, bisogna cambiare i modelli organizzativi interni alle organizzazioni” e, aggiungo io: “non basta la cosmetica”!

La sfida vera, dunque, è innovare i modelli organizzativi e l’unica ricetta è quella di diminuire i livelli di mediazione. Le organizzazioni sono basate su schemi piramidali, dove i ruoli e le competenze diventano rendite da posizione e opportunismi inattaccabili.

Gli stolti sono ancora propensi a iniettare pura tecnologia nelle organizzazioni resistenti. Non serve a nulla, anzi, spesso genera ulteriore spesa a beneficio di pochi e senza alcun beneficio per l’organizzazione intesa come “sistema”.

Innovare i processi richiede pazienza. E’ una sfida dura che non si vince facilmente. Innovare i processi significa assumere dei rischi, passare spessissimo dalla ragione al torto.

Chi prova a innovare le organizzazioni è visto spesso come un e un antagonista perchè non riesce ad adattarsi e, soprattutto, a sfruttare le opportunità che, io leggo come “opportunismi”.

Spesso i miei discenti mi chiedono un metodo, mi chiedono quale sia la chimica giusta. Purtroppo non sono uno stratega, ma ho fatto mie due massime: A) Non si può vincere sempre.
B) Come diceva il mahatma Gandhi: NON PREOCCUPARTI SE TI SEGUONO, TU INIZIA A CAMMINARE!

7 commenti

Gianluigi Cogo

Gianluigi Cogo24/02/2010 - 10:00
Cara Laura, cerco di esprimermi meglio perchè mi son accorto di aver buttato giù i concetti in fretta e in maniera disordinata. Competenza! Si, è molto importante, anzi decisiva. In special modo quando è scientifica, dotta, frutto di ricerca e di applicazione sul campo. Certificata (non dal CEPU) e spendibile. Poi c'è la competenza presunta. Quella che deriva dalla declaratoria del "ruolo". Quella attribuita come favore o per favorire. Quella assegnata dalla PA con concorsi interni (ma anche esterni) dove si incrociano termini come "equipollenza". Equipollenza?????????? Quella dove va bene tutto e quindi ti trovi un arrogante personaggio che di competente non ha nulla, ma che ha un ruolo che gli veste una "competenza" attribuita. Oggi quella competenza attribuita diventa di fatto sostanziale. Ahimè! Ecco, qui preferisco l'esperienza, vera, supportata dai fatti. Parlo spesso di "boria" e "prepotenza" dei mediocri nelle mie lezioni. Ecco a cosa mi riferisco. Ciao
Laura Strano

Laura Strano24/02/2010 - 13:38
allora son d'accordo con te L.
Laura Strano

Laura Strano23/02/2010 - 18:18
open data , open government, sto leggendo .. cerco di non perdermi nulla Gigi, voli alto :-), pensare ai posteri che beneficeranno è suggestivo, devo dire che mi piace :-) ma a quei posteri se protestassimo un pò tutti forse arriveremmo prima o quantomeno arriverebbero i nostri figli .. siamo ancora lontani, quindi penso che bisogna lottare ogni giorno anche per il futuro più prossimo Sui concetti di competenza ed esperienza forse dovremmo chiarirci, non li vedo scissi l'uno dall'altro la competenza per me è anche il frutto dell'esperienza, se il mondo cambia e mi accorgo che cambia e faccio esperienza sarò maggiormente competente, non riesco a pensare al saper fare senza il sapere il problema è che cambia troppo velocemente :-) ciao
Gianluigi Cogo

Gianluigi Cogo21/02/2010 - 00:49
Ciao Laura, le organizzazioni vengono descritte come sistemi complessi. Io sono propenso a considerarle sistemi complicati. Non è un esercizio linguistico. Secondo me è il nostro modo perverso di complicare i processi più semplici che le rende "complesse". Non c'è una regola che prevale su tutte per far tornare semplici le organizzazioni. Forse basterebbe applicare le regole delle organizzazioni più piccole, come le famiglie, le comunità, i gruppi, ecc. Invece tendiamo a complicare le organizzazioni con ruoli, sottoruoli, sovraruoli e ridondanza e confusione di ruoli. Che spesso si occupano di materie analoghe pestandosi i piedi senza nemmeno trovare un protocollo di comunicazione comune con cui relazionarsi. In questo modo nulla cambia, tutto si conserva. Eppure nel digitale riusciamo ad esprimerci fra "peer entity", spogliandoci dei ruoli. Ci vuole così poco. Innovare è semplificare. Innovare è eliminare le troppe mediazioni. Innovare è eliminare le sovrapposizioni. Innovare è comunicare sinceramente. Innovare è applicare buon senso. Innovare è ascoltare. Pensi che per fare tutto ciò servano dirigenti illuminati?
Laura Strano

Laura Strano21/02/2010 - 11:15
Caro Gigi da te e da questa rete continuo a imparare molto e ringrazierò sempre di questa opportunità gli organizzatori del PARSEC. Le realtà con cui mi confronto giornalmente sono però difficili., e il processo è lento. Per scardinare muretti spesso non basta comunicare sinceramente, non basta semplificare, né ascoltare, …. Spesso purtroppo serve anche ricorrere a contenziosi ed esposti. Non voglio qui, dove occorre favorire la circolazione di idee positive, opporre resistenze mentali ai tuoi ragionamenti, con il rischio di essere fraintesa, perché comprendo perfettamente quello che dici. Ma ciò che deve prevalere, a mio avviso, nella pubblica amministrazione è il criterio della COMPETENZA. Le gerarchie nella p.a. esistono per legge, le competenze attribuite alle varie categorie sono definite nelle declaratorie contrattuali. Possiamo diminuirle, ma non possiamo pensare che tutti debbano fare le stesse cose. Ho la sensazione che in Ospedale percepiamo immediatamente la distinzione tra le competenze di un ausiliario, di un infermiere e di un medico, sappiamo cosa chiedere all’uno o all’altro, pur consapevoli che è necessario l’apporto di tutti per il buon funzionamento del reparto. Ma in ufficio non è così. Eppure il valore aggiunto di chi ha studiato paga la soddisfazione dell’utente. Se nomino responsabile del diritto d’accesso agli atti un geometra che in vita sua non ha mai letto la 241 del 90, o piuttosto nomino un laureato che ha studiato diritto amministrativo e conosce la 241 del 90, converrai che il risultato per l’utente non è lo stesso. Quindi è un problema di formazione, e competenza e in ultima analisi la semplificazione e la soddisfazione dell’utente finale dipende anche dal Dirigente. Insomma occorre mettere le persone giuste al posto giusto. E questo dipende anche dalla Dirigenza.
Gianluigi Cogo

Gianluigi Cogo21/02/2010 - 19:40
Basterebbe eliminare quelle procedure. Accesso agli atti? Per cosa? Perchè la PA li trattiene? Stai leggendo tutto quello di cui argomentiamo sull'Open Government e l'Open Data? Ecco datti coraggio con quello, che tanto prima o poi (forse poi) arriverà anche da noi come nel resto del mondo. Per un principio molto semplice. Ne hanno bisogno le aziende per fr circolare l'economia immateriale e i cittadini per la democrazia. Competenze? Contano ancora più delle esperienze? C'è gente nella PA che ha la stessa competenza da 40 anni, senza accorgersi che son passati e che è cambiato il mondo. Forza dai! Prima o poi chi verrà dopo di noi ne beneficerà :-)
Laura Strano

Laura Strano20/02/2010 - 23:32
ciao Gigi, questo è un bel contributo, per tutti. Condividere cosa si intende per innovazione è fondamentale. Grazie. Trovo estremamente interessante il tema delle domande e risposte segnalato da Giacomo Mason "non si tratta di far fare alle persone qualcosa di nuovo (come scrivere un documento in parallelo tra più persone) ma di portare online qualcosa che le persone conoscono bene". Cercavo di capire in concreto come funziona e come potrebbe produrre innovazione, applicato a una p.a. Non ho tradotto il testo, ma intuisco, almeno credo ..... Una sorta di bacheca on-line dove circolano le informazioni tra gli uffici. O no? Mi pare di capire che può risolvere un problema di comunicazione tra gli uffici e quindi contribuisce nel tempo ad ampliare le conoscenze degli operatori, creando scambio e condivisione di conoscenza. Tutti leggono, tutti scrivono, tutti acquisiscono conoscenze su ciò che fanno gli altri uffici, ponendo domande, ricevendo e dando risposte. L'unica cosa che vorrei capire meglio è il passo successivo. Da un ufficio all'altro in effetti le domande sono spesso le stesse da anni. Ma il fatto è che anche le risposte da anni sono sempre le stesse .... Intuisco il processo, ma mi chiedo se non sia necessario anche in questo caso un dirigente illuminato che intervenga a modificare eventuali prassi consolidate errate, considerato che on-line viene portato quello che le persone conoscono bene? Io chiedo, tu rispondi e io imparo. Voglio dire che mi sembra un sistema geniale, ma che può funzionare se ci sono persone che conoscono bene qualcosa .. Forse ho in mente amministrazioni disastrate :-)) L.