[Barcamp Innovatori 2011] Social Network, strumenti per il trasferimento tecnologico
Con i suoi 500 milioni di utenti Facebook è diventato lo scorso anno “il quarto continente al mondo per abitanti”; gli utenti di Twitter cinguettano, in media, 150 milioni di tweet al giorno (fonte Nilsen); LinkedIn, il “mySpace dei grandi”, ha raggiunto pochi mesi fa 100 milioni di membri, circa 1.7 milioni qui in Italia (fonte LinkedIn). Se queste cifre non convincessero ancora si può provare a seguire il consiglio che la deep throat di Tutti gli uomini del presidente dà a Bob Woodward nella celebre scena del parcheggio: Follow the money. Basti pensare che l’importo speso dagli inserzionisti per l’advertising sui social network, ha superato nel 2010 la quota 1,7 miliardi di dollari, oltrepassato le più rosee aspettative che indicavano nel 1,3 miliardi la cifra potenziale, e realizzando un incremento totale del 20% della spesa per l’intero advertising online (fonte D4Blog.it). Eppure, nonostante numeri e investimenti la stragrande maggioranza della pubbliche amministrazioni italiane - e non solo - guarda ai Social network con diffidenza, bollandolo come “fenomeno”, non comprendendo le potenzialità e la portata di questi stumenti.
Le potenzialità delle reti sociali sono comprese a pieno invece da Flavia Marzano, che durante il barcamp Innovatori di quest’anno ha rilanciato l’importanza delle reti sociali sul web con la proposta di un social network per il trasferimento tecnologico. La piattaforma ipotizzata da Flavia dovrebbe essere in grado di far convergere l’innovazione prodotta dalle università, dai centri di ricerca e dai parchi tecnologici, con i bisogni e le necessità di sviluppo di medie e piccole imprese. Incrociare in un unico luogo la domanda e l’offerta di conoscenza tecnologica in un marketplace delle competenze integrato e insieme promuovere eventi e iniziative di comunicazione dedicate al tema. Il progetto si pone l’obiettivo di realizzare una strategia connettiva, diventando una rete nella società delle reti di cui si accennava all’inizio di questo post. Qui di seguito le slide proiettate durante il barcamp.
Durante la discussione al tavolo si è provato a ipotizzare quasi siano le maggiori sfide con cui una community di questo tipo si dovrebbe confrontare. Provando - per quanto possibile - a semplificare ne sono state individuate due:
- da un lato ci sarebbero da superare le complessità tecnologiche che il design di una piattaforma come questa potrebbe comportare;
- dall’altro coinvolgere gli tutti gli attori in modo operativo, convincendoli dei benefici che avrebbero alimentando questo “gioco a somma positiva”.
Rispetto alla prima delle due criticità una prima soluzione arriva da Germano Paini che propone di utilizzare Think Tag smart, piattaforma per lo sviluppo di communities orientate alla condivisione e disseminazione della conoscenza di sua progettazione. Think Tag mette a disposizione degli utenti un ambiente per la gestione partecipata e condivisa di 50 diverse tipologie di risorse (eventi, slide, documenti, foto, libri, ecc) secondo logiche di open and social knowledge management. L’organizzazione delle risorse all’interno della piattaforma è composta da una architettura fatta di scaffali, cioè contenitori utilizzabili come un dossier o un fascicolo e tag che permettono ad ogni utente di definire una risorsa nel modo a lui più congeniale, contribuendo a migliorare la descrizione collettiva della risorsa stessa. La grande flessibilità di Think Tag premetterebbe quindi a tutti i soggetti che desiderano condividere le proprie conoscenze tecnologiche all’interno del network ipotizzato da Flavia in maniera semplice e intuitiva, abbattendo ipotetiche asimmetrie informative che si potrebbero venire a creare ad esempio tra centri di ricerca e piccole imprese.
Passando invece al secondo scoglio venuto fuori durante il tavolo di discussione, una prima strada percorribile è stata proposta sempre da Paini: iniziare dal basso, coinvolgendo è per primi quegli enti, università, piccoli imprenditori dello stesso territorio più illuminati e più propensi all’innovazione. Poi, una volta raggiunta la massa critica sufficiente, proporsi agli altri come “uno standard”, descrivendo i vantaggi dell’essere dentro la rete e gli svantaggi del non esserci ancora. Oltre ad essere spesso l’unica strada davvero percorribile, questo approccio all’innovazione, da la possibilità di risolvere eventuali criticità in corso d’opera come se fosse una sorta di “strategia in beta”, capace di portare alla luce nuove criticità o potenzialità che non erano chiare nella fase iniziale di progettazione. E in fine questo approccio ricorda molto quell’idea di “innovazione come disobbedienza riuscita” che è sempre bene ricordare…
- Blog di Gianfranco Andriola
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