Manca un "Open"

letto 3505 voltepubblicato il 15/08/2011 - 18:18 nel blog di Roberto Guido

OpenGovernment, OpenData, OpenContent... Tra tutte queste parole chiave troppo spesso le iniziative volte alla promozione di un utilizzo efficiente delle tecnologie nel settore pubblico peccano nel mettere tra le priorita' indifferibili ed irrevocabili un altro "open". Proprio quell'"open" il cui successo ha ispirato gran parte delle nozioni sopra elencate, quell'"open" che ha tracciato i criteri di trasparenza e collaborazione che oggi si vogliono applicare al modello democratico, quell'"open" che per primo ha imposto lo stesso prefisso "open" nel Dizionario dell'Innovazione.

Chiaramente, mi riferisco all'OpenSource.

Stando a quanto osservo, l'opensource (o "software libero": tra i due termini c'e' differenza, ma e' troppo sottile per essere discussa in questa sede) e' un parametro ampiamente sottovalutato, bistrattato, persino ignorato, che passa in secondo piano dinnanzi all'entusiasmo collettivo generato da ogni nuovo servizio online che promette questa o quest'altra forma di partecipazione. Entusiasmo genuino ma ingenuo, che si ferma alla valutazione del beneficio immediato ma non prende in considerazione le implicazioni su medio e lungo termine del mettere i dati e le informazioni all'interno di una piattaforma chiusa, non accessibile, il cui fornitore potrebbe chiedere dall'oggi al domani ingenti somme per garantirne la fruizione futura o peggio potrebbe smantellare il tutto perche' reputato non abbastanza profittevole, senza possibilita' di migrazione. In tale scenario, a cosa servono gli appelli per l'innovazione se poi ci si trova sempre e comunque a dover fare i conti con il lock-in imposto da un singolo provider che detiene diritto di vita e di morte sia su quelli che dovrebbero essere dati pubblici che sullo strumento che tali dati raccoglie, analizza ed espone? Anche laddove si riuscisse a raggiungere il traguardo dell'apertura dei dati completa ed incondizionata di tutti i servizi pubblici (o privati, ma pagati con soldi pubblici) esistenti, come potrebbero essere usati in assenza degli algoritmi e delle formule indispensabili per estrapolarne un significato utile?

L'opensource non e' un fine ma un mezzo, anzi il mezzo che garantisce una corretta e coerente implementazione di ogni idea finalizzata allo sfruttamento del potenziale latente della cittadinanza attiva e al potenziamento degli enti pubblici nel loro insieme.

Perche' OpenGovernment e' "trasparenza", e cosa c'e' di piu' trasparente del codice del software utilizzato pubblicato online sotto gli occhi di tutti? Perche' OpenGovernment e' "partecipazione", e cosa c'e' di piu' partecipativo del permettere a ciascuno di correggere e migliorare la piattaforma applicativa in uso? Perche' OpenGovernment e' "democrazia", e cosa c'e' di piu' democratico del mettere a disposizione uno strumento senza costi di licenza cui possano accedere anche i comuni piu' piccoli e squattrinati impossibilitati a pagare il (spesso ricco) canone annuo imposto dai fornitori di servizi closed e commerciali?

Affinche' la rivoluzione in atto non sia una rivoluzione a meta', un mero passaggio di testimone dal monopolio dei dati sui desktop pubblici al monopolio dei dati pubblici online, un pretesto per sperperare (altro) denaro (pubblico) in servizi destinati a nascere e morire in funzione dell'onda di interesse mediatico, sarebbe opportuno rivedere la lista delle priorita'. E aggiungere un "open".

7 commenti

Pietro Bin

Pietro Bin02/09/2011 - 17:09
Condivido quello che dice Attilio, anzi il riferimento di Roberto Guido sui sistemi del Ministero della Giustizia (vedasi articolo linkato) fa emergere altre perplessità, non del tutto attinenti con l'Open. Il Ministero della Giustizia investe in un sistema informativo, presumo per migliorare il servizio e per abbattere i costi, ma da quanto capisco fa dietrofront perchè non ha soldi per pagare e ritorna al vecchio sistema manuale !!!! forse al Ministero della Giustizia esiste la concezione che fare le cose a mano non costi nulla, o forse una giustizia efficiente non e' un obiettivo primario. In ogni caso mi piacerebbe sapere cosa incide il costo dell'informatizzazione sul costo totale della giustizia.
Attilio A. Romita

Attilio A. Romita02/09/2011 - 16:40
Egregio Roberto Guido, il suo commento mi sembra leggermente fuori tema. Le forniture ad Enti Pubblici sono fatte sulla base di specifici capitolati e gare. Una Gara pubblica garantisce il miglior acquisto e non esiste mai una clausola che esclude open source: se lei pensa che i prezzi offerti siano esosi, costituisca una società per fornire open source e partecipi alle gare. Chi vince la gara ha diritto ad essere pagato. Se un Cliente non paga, quale che sia il motivo, il fornitore ha diritto a bloccare la fornitura. Questo in un paese normalmente rispettoso delle leggi. Un Cliente firmando un contratto s'acquisto, tanto più se a seguito di una gara pubbblica, si impegna a pagare quanto pattuito. Se le previsioni di costo sono sbagliate, il colpovole è tenuto a pagare comunque. Se il capitolato è sbagliato il maggior costo ricade sull'Amministrazione. Se l'offerta vincente è aclcolata male, il maggior costo ricade sul fornitore. Queste sono le regole contrattuali previste dal codice. Tutte le altre argomentazioni sono solo fuffa per mascherare le proprie colpe con false giustificazioni etico/sociali. Sempre con stima....i miei più cordiali saluti
Attilio A. Romita

Attilio A. Romita02/09/2011 - 10:59
Mi cito: "Quanto dice Roberto Guido è teoricamente esatto, assolutamente politically correct, ma, secondo me, ha una visione assolutamente illusoria della realtà." e rispondo a Roberto Guido "Tanto per cambiare, chi non sa di cosa sta parlando assume che l'unico fattore di valutazione dell'open sia il costo. Ahite', cosi' non e'" Inizio dalla risposta di Roberto. I miei recenti 50 anni di attività nello ICT, sempre in prima linea come Cliente e System Integrator mi concedono il dovere, e forse un po di diritto, di parlare di cose che, purtroppo per me, ho praticato. Ed il "purtroppo" è dovuto esclusivamente al fatto che sono "vecchio" e questo mi secca! Ma torniamo ai fatti. Roberto dice "ma un conto e' dipendere da una piattaforma closed su cui puo' mettere le mani un singolo fornitore di fatto monopolista e che decide il costo arbitrariamente, un conto e' dipendere da una piattaforma aperta su cui esiste libera competizione e costi regolati dal mercato." Questa affermazione, semanticamente molto bella, è solo una affermazione di principio slegata dalla realtà per veri motivi: 1. un singolo fornitore forte ha tutto l'interesse a mantenere la propria clientela ed a questo scopo tende ad aggiornare e migliorare continuamente il proprio prodotto e per questa attività di R&D è giusto che sia remunerato. Il Cliente che non vuole aggiornarsi, non è tenuto a pagare gli aggiornamenti e nessuno verrà a disinsstallargli il software obsoleto. 2. Un fornitore. a meno di attacchi di pazzia, non ucciderà mai il Cliente, cioè la sua gallina dallle uova d'oro, strozzandolo con i prezzi. 3. Se, per qualsiasi ragione valida, si vuole cambiare fornitore, esistono sempre sistemi per trasformare i propri dati strutturati in metadati raw per quindi ricaricarli sul nuovo sistema. 4. Qualche difficoltà al trasferimento ha molte volte evitato, che per semplice antipatia con il "rappresentante", si prendessero decisioni "di pancia". E posso assicurare che è capitato! 5. Quanto più una piattaforma o un sw è diffuso, tanto più è sicuro. 6. Quanto più un sistema di gestione dati diventa uno standard de facto, tanto più l'interoperabilità è semplice. 7. La diffusione e la manutenzione di un sitema hanno un costo che è giusto pagare. 8. La dipendenza incrociata che si crea tra Utenti e Fornitori è la garanzia di continuità del servizio. 9. Se PA, PAL e PAC che sia, decide di applicare uno standard generale, acquisisce una forza contrattuale enorme e può condizionare qualsiasi fornitore. 10. Penso che sia ora di finirla con illusori discorsi di autonomia e false libertà. E chiudo citandomi ancora: A questo punto dobbiamo decidere: - abbandoniamo le posizioni di principio e dicutiamo su fatti pratici. - affermiamo in maniera forte che l'informatica nazionale, cioè tutte quanto riguarda la Gestione delle Informazione è di proprietà della PUBBLICA AMMINISTRAZIONE e non della PAC o della PAL, del Ministero XY o dell'Amministazione ZK, del Direttore AB o del programmatore Pippo. Ci riusciremo? non lo so, ma sicuramente, sino a quando faremo le lotte di religione, la battaglia è persa."
Roberto Guido

Roberto Guido02/09/2011 - 15:54
Senza andare lontano, basta aprire un giornale ogni tanto. Gennaio 2011: sistemi informativi del Ministero della Giustizia sospesi. Citazione dall'articolo: Si va dal Re. Ge, il registro penale in cui approdano tutte le notizie di reato, ai vari software per coordinare i lavori tra organi inquirenti, giudicanti e avvocati. Tutto sospeso: via Arenula non può più pagare le aziende che forniscono il servizio. Quanto costa questo servizio? Esiste un mercato su di esso, o "le aziende" che lo forniscono lo decretano a tavolino essendo le uniche a poterlo erogare? Di aneddoti analoghi ne avrei altri (tipo: servizi comunali interrotti per mesi per un ingiustificato aumento del costo delle licenze, e senza possibilita' di accedere ai dati), ma sorvolo non avendo documentazione specifica sottomano. La teoria liberale del fornitore che rispetta e cura il cliente e' una cosa, i fatti documentati sono un'altra.
Attilio A. Romita

Attilio A. Romita31/08/2011 - 20:05
Ovvero teoria e pratica applicazione. Le parole di Luigi Maselli riassumono in modo perfetto la situazione. Quanto dice Roberto Guido è teoricamente esatto, assolutamente politically correct, ma, secondo me, ha una visione assolutamente illusoria della realtà. Indipendentemente da valutazioni economiche (che esaminerò in seguito), manca un disegno globale enorme tassative di omogeneazzione e standardizzazione realtive ai sistemi hardware, software di base, software applicativo, disegno dei dati, codifiche, architettura della basi dati e le mille altre regole e protocolli che devono guidare la costruzione di sistema informativo. A causa di questa mancanza ogni Capo di Dipartimento ministeriale, Direttore di sistemi infomativi, progettista, analista e programmatore ritiene di rispettare l'OPEN, in tutte le sue declinazione, scegliendo uno strumento Open Source che non paga, ma che poi, tornando alle valutazioni economiche, costa milioni di adattamenti, test, aggiornamenti ed allineamento a nuovi strumento hardware. A questo punto dobbiamo decidere: - abbandoniamo le posizioni di principio e dicutiamo su fatti pratici. - affermiamo in maniera forte che l'informatica nazionale, cioè tutte quanto riguarda la Gestione delle Informazione è di proprietà della PUBBLICA AMMINISTRAZIONE e non della PAC o della PAL, del Ministero XY o dell'Amministazione ZK, del Direttore AB o del programmatore Pippo. Ci riusciremo? non lo so, ma sicuramente, sino a quando faremo le lotte di religione, la battaglia è persa.
Roberto Guido

Roberto Guido01/09/2011 - 23:40
Che anche le soluzioni open abbiano un costo e' fuori da ogni dubbio, ma un conto e' dipendere da una piattaforma closed su cui puo' mettere le mani un singolo fornitore di fatto monopolista e che decide il costo arbitrariamente, un conto e' dipendere da una piattaforma aperta su cui esiste libera competizione e costi regolati dal mercato. Tanto per cambiare, chi non sa di cosa sta parlando assume che l'unico fattore di valutazione dell'open sia il costo. Ahite', cosi' non e'.
Luigi Maselli

Luigi Maselli20/08/2011 - 19:09
Per quello che ho visto molti dati delle PA non sono "open" per 2 motivi: - sono stati generati in modi, tecnologie, tempi, diversi - manca un disegno globale di diffusione dei dati (ancora troppi dirigenti pensano che tutto sia opendata, xls, pdf, ppt,..)