Codificare le regole di comportamento attraverso la formazione con approccio valoriale

letto 5623 voltepubblicato il 08/01/2014 - 11:18 nel blog di Massimo Di Rienzo, in ETICA, Integrità, Open Government

"A code is nothing, coding is everything".

Così disse Muel Kaptein nel 1998 (in compagnia del suo collega Wempe). Kaptein, uno dei massimi esperti in codici di comportamento/codici etici, olandese, è spesso citato dai manuali OCSE quando si tratta di dare orientamenti su come si codificano e, soprattutto, su come si trasferiscono le regole di comportamento ed i valori etici sottostanti ai dipendenti (nel caso di Kaptein poco importava se pubblici e privati).

Ed in effetti, un codice non rappresenta un bel niente se le regole che contiene non vengono "codificate" all'interno di un processo di ascolto, consultazione, dialogo con chi poi quelle regole deve osservarle e farle osservare (tecnicamente, recettori interni e esterni).

Rimanendo sulle linee guida OCSE presenti nel manuale "", del 2009, è importante che in una prima fase l'amministrazione colga l'importanza del "determinare e definire" l'integrità e come questi due elementi debbano prendere vita attraverso un processo di ascolto.

Definire una regola significa che esiste una adozione formale di una regola di comportamento. Si afferma formalmente, cioè, che in un dato contesto e per il presente e futuro, varrà una determinata regola e che quella regola sta scritta in un documento (ad esempio il codice di comportamento o il codice disciplinare).

Determinare una regola significa, invece, che per un particolare contesto e per il tempo necessario si decide che è opportuno adottare uno specifico comportamento (invece che altri) in ragione del fatto che questo comportamento viene largamente condiviso dalla maggioranza di coloro che lo dovranno osservare e far osservare. Per questo il processo di determinazione non può prescindere dal coinvolgimento di attori interni e esterni all'organizzazione che decide di adottare quella regola. Ad esempio, potrebbe essere importante per rafforzare l'idea che un'amministrazione in un determinato contesto prenda seriamente in considerazione la questione della fiducia dei cittadini nelle istituzioni indebolita, ad esempio, da recenti scandali riguardanti regalìe a pubblici funzionari o dirigenti, dare ascolto a cittadini o agli stessi dipendenti che chiedono di rafforzare la disposizione generale contenuta nell'articolo 4 del Codice di Comportamento (art. 54 dlgs.165/2001) che vieta al dipendente pubblico di accettare per sè o per altri  regali o altre utilità se non di modica quantità (entro 100 euro). Essi potrebbero, ad esempio, in fase di consultazione, aver suggerito che, per quell'amministrazione in quelle determinate circostanze, sarebbe opportuno che non si accettasse nessun tipo di regalìa, anche di modica quantità.    

L'importanza di questi due elementi "...può essere illustrata con l'esempio del codice di comportamento. Un'organizzazione potrebbe decidere semplicemente di copiare e incollare un codice esistente o un modello di codice nazionale e poi modificarlo per diventare il codice dell'organizzazione: in questo modo l'integrità viene definita attraverso la acquisizione di regole di comportamento più o meno generali, ma questa codifica non è stato preceduta da un processo di determinazione del contenuto di tale codice" (Towards a sound integrity framework, OCSE, 2009).

I problemi che potrebbero sorgere da una mancata determinazione (o co-determinazione) vengono rappresentati con:

  • il rischio di irrilevanza delle regole (definite ma non determinate) che enfatizzano aspetti del tutto marginali rispetto alla specificità di un'organizzazione;
  • l'estraneità del codice alla strategia di promozione dell'integrità. Un codice, infatti, è solo uno degli elementi di una strategia più complessa che deve essere per forza di cose armonizzata;
  • la terza, è più importante (nonché ovvia) implicazione è il fatto che, in assenza di codificazione partecipata, si riduce al minimo il senso di appartenenza di quelle regole che, piuttosto che essere vissute come necessarie e opportune perchè insieme considerate rilevanti, diventano invece l'ennesimo fardello da portare (nel migliore dei casi) o, l'ennesimo strumento in mano a chi gestisce il potere.

Ora, come è noto, i codici di comportamento di ciascuna PA devono essere stati elaborati, redatti, approvati e pubblicati sul sito dell’Amministrazione entro il 31.12.2013. Per gli Enti Locali il termine era il 16.12.2013.

Non mi soffermerò tanto sui processi di consultazione avviati e cosa hanno prodotto; la legge 190/2012 aveva definito, in linea con gli orientamenti dell'OCSE, che il processo di adozione dei codici di comportamento dovesse essere partecipato attraverso una consultazione con stakeholder interni ed esterni.

Vorrei piuttosto focalizzare l'attenzione su un aspetto assai poco considerato da molti e che invece potrebbe in larga misura risolvere alcuni dei problemi prima sollevati a valle di un processo di codificazione irrilevante o scarsamente effacace, come è piuttosto prevedibile che sia stato per la maggior parte dei casi nella prima elaborazione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione (PTPC) con tutte le amministrazioni ossessionate dalle tabelle sui rischi.

Mi riferisco, in particolare alla misura obbligatoria "formazione", che deve essere inserita nei PTPC, così come il Piano Nazionale dispone alla sezione 3.1.12.

Le amministrazioni dovranno attivare percorsi formativi su due livelli:

  • livello specifico, rivolto al responsabile della prevenzione, ai referenti, ai componenti degli organismi di controllo, ai dirigenti e funzionari addetti alle aree a rischio;
  • livello generale, rivolto a tutti i dipendenti: riguarda l’aggiornamento delle competenze (approccio contenutistico) e le tematiche dell’etica e della legalità (approccio valoriale).

Ora, per quanto concerne la formazione specifica, auspicabile sarebbe una formazione meno "rischio-centrica", che faccia riferimento a cosa sia veramente una strategia di promozione dell'integrità. Soprattutto la cosiddetta "manualistica OCSE" è piena di esempi di tale strategia non sia solo analisi e gestione del rischio, apprendimento ed esecuzione di norme, quanto piuttosto l'integrazione di approcci diversi, strumenti e metodologie complesse (mix di approcci comportamentali e valoriali). Sarebbe opportuno, inoltre, dare evidenza delle migliori pratiche internazionali di promozione dell'integrità e della trasparenza per favorire la costituzione di un "Integrity Bureau", cioè un ufficio (o gruppo di persone) all'interno del quale si consolidano competenze e conoscenze in materia di integrità trasparenza, legalità, lotta alla corruzione.

Sulla formazione generale contenutistica, al momento di pianificare numero di ore e moduli, non dedicherei troppo spazio ad un tipo di formazione largamente inflazionata di tipo accademico, che non fa altro che alimentare la "pulsione" all'adempimento nei funzionari/dirigenti che, nella migliore delle ipotesi, la "subiscono".

Ciò che mi interessa discutere, invece, riguarda la formazione generale con approccio valoriale. "Le amministrazioni debbono avviare apposite iniziative formative sui temi dell’etica e della legalità: tali iniziative debbono coinvolgere tutti i dipendenti ed i collaboratori a vario titolo dell’amministrazione, debbono riguardare il contenuto dei Codici di comportamento e il Codice disciplinare e devono basarsi prevalentemente sull’esame di casi concreti; deve essere prevista l’organizzazione di appositi focus group, composti da un numero ristretto di dipendenti e guidati da un animatore, nell’ambito dei quali vengono esaminate ed affrontate problematiche di etica calate nel contesto dell’amministrazione al fine di far emergere il principio comportamentale eticamente adeguato nelle diverse situazioni" (PNA).

E' la nuova frontiera. Assai interessante direi. Esistono molti esempi a livello internazionale di Agenzie governative che si occupano di questo, in particolare cito l'OGE americano (lo ) che ha un database molto ricco di casistica riguardante l'educazione alle regole di comportamento e all'etica pubblica. 

Come farlo in Italia? Qualcuno dice, è la sfida del secolo, soprattutto in alcuni contesti assai problematici.

Le questioni sono molteplici e riguardano ad esempio, il fatto che debbono essere coinvolti tutti i dipendenti e i collaboratori che, in casi di amministrazioni di medie-grandi dimensioni, diventa un problema.

Per questo suggerisco di seguito alcuni esempi di moduli sperimentali della formazione generale con approccio valoriale:

  • "Laboratorio sperimentale sul codice di comportamento". Questo modulo viene realizzato fornendo ai corsisti, in aula, una situazione di vita lavorativa quotidiana più o meno complessa su cui i corsisti stessi (individualmente o in gruppo) devono indicare le varie opzioni comportamentali e valoriali, così come le implicazioni di carattere disciplinare, le implicazioni che si scaricano sulla collettività sull'organizzazione e sull'individuo, sull'immagine dell'amministrazione rispetto ad una scelta non etica, ecc... Tecnicamente l'approccio si chiama "Real-life scenario training";
  • Nel caso di amministrazioni molto grandi, occorrerebbe adottare il "Massive Real-life scenario training". Si tratta di una formazione che può essere realizzata, ad esempio, con il metodo MOOC (Massive Open Online Course), in cui, attraverso delle peer review gestite su forum e comunità, i dipendenti pubblici risolvono dei dilemmi etici o vengono guidati nelle scelte attraverso la predisposizione di informazioni rilevanti nel momento in cui servono. Le informazioni riguardano, ad esempio, le regole del codice di comportamento, i valori e i principi di riferimento a cui si ispirano, le implicazioni che si scaricano sulla collettività, sull'immagine dell'amministrazione rispetto ad una scelta non etica, ecc.;
  • "Gestione dei dilemmi etici e promozione della cultura della segnalazione per la tutela dell'interesse pubblico" (whistleblowing). Questo modulo va realizzato nel momento in cui è pronta una policy di whistleblowing (una procedura, cioè, che tutela il dipendente pubblico che segnala) e ha la finalità di accompagnare i dipendenti pubblici alla risoluzione di un particolare dilemma etico che ha che fare con il "segnalare" o "ignorare" un comportamento che ha infranto una regola codificata, oppure un comportamento non etico o illecito (per approfondimenti, si può consultare la ormai piuttosto nota ).    

Essendo modalità formative assolutamente sperimentali, ocorre prevedere una fase di sperimentazione e di preparazione (ad esempio il real-life scenario training ha bisogno di tempo e risorse per la ricerca e la preparazione degli scenari).

Cosa c'entra tutto questo con i codici di comportamento, le regole, la definizione e determinazione di cui abbiamo parlato sopra?

In effetti, la formazione generale con approccio valoriale può essere utilizzata per la "determinazione" (a posteriori) delle regole di comportamento. Se concepita come laboratorio aperto, con metodologie socio-costruttiviste (cioè dove la conoscenza si forma attraverso il contributo dei partecipanti piuttosto che da una rappresentazione parziale della conoscenza del docente), è l'attività giusta per ragionare insieme almeno agli attori interni su quali regole servano veramente per quella specifica amministrazione, a valle di un processo di codificazione già avvenuto, ma ancora aperto.

Per questo i codici di comportamento che sono stati ormai pubblicati non dovrebbero essere "chiusi" (non lo dovrebbero essere mai in nessun caso). Di nuovo Muel Kaptein ci viene in soccorso quando dice:

"...I risultati di un'analisi fattoriale esplorativa forniscono evidenza dell'esistenza di otto sottoscale unidimensionali per una corretta cultura etica dell'organizzazione: chiarezza, congruenza della vigilanza, congruenza della dirigenza, fattibilità, possibilità di dare supporto, trasparenza, possibilità di discutere, e effettività della sanzione" in "Developing and Testing a Measure for the Ethical Culture of Organizations: The Corporate Ethical Virtues Model" (2007).

La virtù di un'organizzazione, afferma Kaptein, risiede nella sua capacità di mettere in discussione le regole e, per il personale, di poter affrontare con il dovuto supporto la gestione dei dilemmi etici che quotidianamente si trova a fronteggiare.

A che livello le questioni etiche (i dilemmi etici e le regole di comportamento) possono essere discusse all'interno di un'amministrazione? E' questo uno degli indicatori di trasparenza e integrità che dovrebbero essere largamente adottati nella misurazione del post PTPC.

E' o non è la sfida del secolo?