Domande e risposte su ETICA DELLE SCELTE PUBBLICHE, webinar del 17 giugno 2014

letto 3035 voltepubblicato il 24/06/2014 - 10:33 nel blog di Massimo Di Rienzo, in Integrità

Il webinar "" del 17 giugno scorso ha visto la partecipazione di 174 dipendent pubblici. In un'ora e mezzo non è stato possibile esaurire le domande e le curiosità (molte e stimolanti) di tutti/e. Per questo pubblichiamo un breve post, con l'impegno, nei prossimi webinar, di dedicare maggiore spazio al dialogo. 

Domande e risposte

Ubaldo: Massimo, potresti riprendere il concetto accennato di persone oneste in altro ambiente diventano disoneste... che cosa incide in questa "trasformazione genetica"?

Il titolo di una ricerca che abbiamo citato durante il webinar "" (Nina Mizar, 2008) ci aiuta a prendere atto dell'idea che anche le persone che riteniamo (o si ritengono) "oneste" possano cadere in tentazione e agire in violazione di regole, in alcuni casi sono "costrette" ad agire in violazione delle regole (come, ad esempio, nel che è testimone di un fatto corruttivo e decide di non segnalare, violando un obbligo normativo, oltre all'obbligo di prestare collaborazione al Responsabile Prevenzione Corruzione sancito dall'articolo 8 del Codice di Comportamento dei dipendenti della PA).

La cosa è tutt'altro che rara e non dobbiamo nemmeno pensare di esserne noi stessi totalmente immuni.

Come hanno egregiamente descritto tre ricercatori australiani (Lisa Ehrich, Neil Cranston & Megan Kimber) nel "", esistono "forze" molto potenti in grado di influenzare il processo decisionale etico. Tra le più potenti possiamo citare la "cultura organizzativa" ovverosia gli usi, le dinamiche delle micro-organizzazioni che vivono all'interno di una amministrazione. Al centro della cultura organizzativa ci sono le relazioni tra le persone, la costruzione ed il mantenimento di rapporti di potere.

Una seconda forza (che nel nostro contesto è molto avvertita) è certamente il "quadro politico", che fa riferimento al rapporto tra politica e amministrazione, alla linea etica/non etica che la politica impartisce all’amministrazione attraverso nomine, regole, pratiche, comportamenti, ecc.

La questione centrale è certamente la responsabilità personale e la manutenzione dello spazio etico che ognuno di noi fa o non fa. Le persone possono essere sottoposte a forti influenzamenti negativi e continuare comunque a rispettare le regole e a prestare la loro collaborazione. Ma fino a che prezzo?

Detto questo, un ambiente può essere organizzato in maniera tale da influenzare positivamente o negativamente le decisioni di coloro che non hanno (o non hanno ancora) sviluppato un proprio spazio etico. In questo, un ruolo centrale è ovviamente giocato dal Codice di Comportamento che determina, come abbiamo più volte ricordato, le aspettative che la leadership di un'organizzazione ha sul comportamento dei propri dipendenti. Ma non bisogna pensare che, una volta adottato un codice, il resto verrà da solo.  

Una rassegna di 79 studi realizzata da Kaptein e Schwartz (2008) mostra che i risultati empirici sull'efficacia dei Codici sono divergenti: il 35% degli studi ha rilevato che l'adozione di un Codice è risultato efficace, il 16% ha trovato che il rapporto tra adozione del Codice e efficacia è risultato debole, il 33% ha trovato che non vi è alcuna relazione significativa, e il 14% ha dato risultati controversi. Uno studio ha anche trovato che l'adozione del Codice ha portato ad effetti controproducenti.

Sembra che alcuni fattori che accompagnano l'adozione del Codice siano determinanti. Questi fattori sono: la frequenza delle attività di comunicazione/formazione in cui il Codice è inserito, la qualità di queste attività di comunicazione/formazione (abbiamo accennato durante il webinar che un bombardamento di stimoli cognitivi è sostanzialmente privo di efficacia ma occorre contestualizzare le regole nell'operatività quotidiana), il contenuto del Codice e il radicamento del Codice nell'organizzazione attraverso il management (componente dirigenziale e componente politica).

A proposito di quest'ultima notazione, parleremo più approfonditamente della qualità della "congruenza della leadership" nel .

 

Enrica: In linea di principio è giusto conoscere e riconoscere le persone con cui ci si relaziona e questa è una dimensione con cui si confronta anche la leadership. Ma con le persone che non rispettano le regole come si fa?

A proposito della "trasformazione genetica" a cui faceva cenno Ubaldo nella precedente domanda, direi che si sono spese numerose e ben più autorevoli parole delle mie riguardo al fatto che persone siano buone o cattive per natura. Personalmente non ho un'opinione certa a riguardo, ma ritengo che le persone siano molto diverse tra loro e per questo sposo l'approccio dell'OCSE (in particolare espresso nella prodotta sul tema dell'integrità del settore pubblico) secondo cui, in una strategia di prevenzione della corruzione e di promozione dell'integrità non si dovrebbe far prevalere un approccio basato sulle regole (e quindi su controlli esterni che mirano ad "ingabbiare" le persone all'interno di norme e procedure perché le persone potrebbero deviare) rispetto ad un approccio basato sui valori (e quindi su controlli interni che mirano ad esaltare la capacità etica delle persone), ma si dovrebbe favorire una combinazione equilibrata dei due approcci.

Perciò, le persone che non rispettano le regole non sono tutte uguali. Alcune agiscono nel disprezzo dell'interesse pubblico e vanno marginalizzate e progressivamente escluse. Altre agiscono più o meno inconsapevolmente e, per questo, va rafforzata la qualità della "Chiarezza" per non dare ulteriori alibi. Altre, infine, agiscono sotto la spinta di forze potenti che hanno a che fare con il contesto organizzativo in cui sono incardinate. In quest'ultimo caso, occorre prendere in considerazione azioni ben diverse dalla prevenzione.   

 

Leonarda: Nell'esempio di Cialdini del parcheggio viene fuori che l'ambiente condiziona. Allora mi chiedo se non fosse utile individuare all'interno delle PA dei dipendenti, anche volontari, che con il loro comportamento corretto avrebbero la funzione di "trascinamento" positivo?

Ne parleremo diffusamente nel corso del , ma posso anticipare che è proprio questo il ruolo che stiamo disegnando per i cosiddetti "formatori interni" (gli americani li chiamerebbero "ethical advisors") dipendenti della amministrazione, soggetti autorevoli (anche se non facenti parte della componente dirigenziale) a cui affidare la formazione e l'accompagnamento allo sviluppo di "competenze etiche" secondo lo spirito della disposizione contenuta nel Piano Nazionale Anticorruzione per cui la formazione generale di contenuto valoriale debba essere estesa a tutti i dipendenti ed essere basata sulla discussione di casi concreti. Chi meglio dei dipendenti stessi è a conoscenza di questi casi concreti?

Come ho detto spesso, è la sfida del secolo perché, tra le altre cose, questo tipo di formazione necessita di competenze del tutto diverse da quelle che attualmente il mercato è in grado di offrire.

 

Paolo: Perché certe regole e valori etici in alcuni paesi funzionano ed in altri no? Le regole non sono figlie dell'ambiente sociale da cui provengono? La stessa regola sarebbe osservata in Finlandia come in Italia?

A prescindere dalla peculiarità degli ordinamenti giuridici, il rapporto con le regole è molto diverso a seconda delle culture e delle tradizioni. Ho cercato di descrivere questa diversa interpretazione, ad esempio, utilizzando il concetto di "trasparenza" in un recente articolo ().

Un classico esempio è come interpretiamo la cosiddetta "stigmatizzazione sociale", che può essere definita come il processo di emarginazione a cui viene condotto un individuo in quanto portatore di uno stigma, quindi di una determinata caratteristica che la società di cui fa parte ritiene diversa e che quindi rifiuta.

Potremo dire, eufemisticamente, che la nostra società (o una maggioranza significativa) non opera la necessaria stigmatizzazione sociale nei confronti di chi si macchia di comportamenti lesivi dell'interesse collettivo. Questo fa sì che, seppure una minoranza eticamente orientata rendesse visibile, attraverso la trasparenza, dati e informazioni sull'operato di un decisore pubblico corrotto, in assenza di stigmatizzazione sociale, non si avrebbe un effetto rilevante sul decisore che continuerebbe a fare quello che ha sempre fatto.

Dalla parte opposta, un eccesso di stigmatizzazione sociale può degenerare in "bigottismo", cioè, in un comportamento esteriormente rigido e che non ammette errori o interrogativi etici (dilemmi), laddove, invece, proprio la continua discussione sugli errori e gli interrogativi etici è, a mio avviso, alla base di un sano e consapevole rispetto delle regole.     

2 commenti

Viviana Maxia

Viviana Maxia24/06/2014 - 16:40

Così come suggerito da Massimo di Rienzo, provo a contribuire ad una risposta alla mia stessa domanda posta nel webinar di cui si parla. La domanda era questa: "Secondo te, Massimo, è possibile produrre una regola chiara per cui sia difficile trovare l'inganno?" e si riferiva all'osservazione , durante il webinar, di Mara Silvetti che specificava che nel nostro Paese sono troppo spesso le deroghe alla regola a farla da padrone; alla cui osservazione io ho risposto che in Italia è in uso da troppo tempo e purtroppo la consuetudine "fatta la legge, trovato l'inganno".

Sinceramente non ho la risposta in tasca ma posso provare a fare delle considerazioni. La prima è che, secondo me, una regola che può svilupparsi senza deroghe e senza inganni deve partire dai giovani, da una educazione familiare etica e da una conversione etica della scuola come strumento di educazione civica all'integrità.

A questo proposito segnalo un portale interessante curato da tre giovani pugliesi che hanno fondato un'associazione di Promozione Sociale che ha vinto il bando “Principi Attivi 2010” e specificamente la sezione dedicata alle risorse anticorruzione (che invece sono d'accordo a chiamare, con accezione positiva, risorse per l'integrità) in cui spicca la seguente documentazione di Transparency International dedicata ai giovani e l'integrità e, ancora, la strategia del 2011 di Transparency International per assicurare entro il 2015 un concreto, tangibile ed irreversibile miglioramento nella lotta alla corruzione.

Insomma, come si diceva oggi durante il webinar sulla leadership etica, è necessario iniziare a porre le fondamente per chi già oggi è interessato ad una base comportamentale etica nella propria attività e dedicarsi con molta buona volontà a seminare il terreno per una generazione di giovani che crescano con questo orientamento. Potrebbe essere un passo importante verso la costruzione di una regola di integrità chiara e applicabile senza deroghe e/o inganni.