Linee guida ANAC su TRASPARENZA non sono vincolanti - sent. 1735/2018

Linee guida ANAC su TRASPARENZA non sono vincolanti - sent. 1735/2018

Tar Lazio, sez. I, sentenza 14 febbraio 2018, n 1735

Pubblicato il 14/02/2018
N. 01735/2018 REG.PROV.COLL.
N. 05094/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5094 del 2017, proposto da:
…, in proprio e quale Presidente del Consiglio Nazionale Forense, rappresentato e
difeso dagli avvocati Giuseppe Colavitti e Francesco Saverio Bertolini, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Gianluca Maria Esposito in Roma, Lungotevere
Arnaldo Da Brescia, 11;
contro
ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione e Ministero della Giustizia, in persona
dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale
dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento parziale, previa sospensione,
della determinazione dell'Autorità Nazionale Anticorruzione n. 241 dell'8 marzo
2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 marzo 2017, avente ad oggetto “Linee
guida recanti indicazioni sull'attuazione dell'art. 14, del dl.gs. 33/2013 «Obblighi di
pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo
e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall'art. 13 del d.lgs. 97/2016”, nella parte
in cui precisa che “le presenti Linee guida costituiscono linee di indirizzo anche per gli ordini
professionali, sia nazionali che territoriali, non ritenendosi sussistenti ragioni di incompatibilità
delle disposizioni in argomento con l'organizzazione di tali soggetti”, e stabilisce espressamente
che “per gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali … sussiste l'obbligo di pubblicare i
dati di cui all'art. 14, relativamente agli incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di
governo comunque denominati”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ANAC - Autorità Nazionale
Anticorruzione e del Ministero della Giustizia, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 3407/2017 del 5.7.2017;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 17 gennaio 2018 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con rituale ricorso a questo Tribunale, il ricorrente in epigrafe chiedeva
l’annullamento “in parte qua”, previa sospensione, del provvedimento dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione (ANAC o Autorità), concernente “Linee guida recanti
indicazioni sull'attuazione dell'art. 14, del D.Lgs. 33/2013 «Obblighi di
pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di
direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall'art.
13 del D.Lgs. 97/2016”.
Ricordando le precedenti vicende processuali che avevano riguardato le due delibere
assunte dall’ANAC in questo settore nel corso del 2014 e che si erano concluse con
la cessazione della materia del contendere in virtù dell’entrata in vigore del d.lgs.
25.5.2016, n. 97, il ricorrente, in sintesi, lamentava quanto segue.
“I. Violazione e falsa applicazione degli articoli: 14 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33; 7 della l.
7 agosto 2015, n. 124; 1, comma 35, della l. 6 novembre 2012, n. 190”.
Premettendo che il provvedimento impugnato era ritenuto direttamente lesivo in
virtù della sua portata generale nonché del carattere immediatamente precettivo delle
“Linee guida” in questione, il ricorrente evidenziava che, anche alla luce delle
modifiche legislative di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 97/2016 - che ha introdotto il
comma 1-bis all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 e ne ha modificato il comma 1 - gli
obblighi di pubblicazione dei dati personali in questione potevano essere imposti
solo ai titolari di incarichi politici nello Stato, nelle Regioni e negli enti locali, secondo
la limitazione di cui al comma 1 da correlarsi logicamente anche al comma 1-bis.
Gli Ordini professionali, quindi, non potevano essere considerati destinatari degli
obblighi di pubblicazione in esame, anche perché “enti pubblici non economici a
carattere associativo”, non gravanti sulla spesa pubblica ed estranei per questo al
relativo elenco ISTAT.
“II. Illegittimità derivata per eccesso di delegazione dell’art. 14 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33;
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 2015, n. 124 e dell’art. 1, comma 35,
della l. 6 novembre 2012, n. 190”.
Sosteneva il ricorrente che, ad ogni modo e se l’interpretazione dei commi 1 e 1 bis
come propugnata dall’ANAC fosse condivisibile, la fonte legislativa alla base del
provvedimento impugnato era a sua volta illegittima per “eccesso di delegazione”,
in quanto l’art. 1, comma 35, lett. c) della l. n. 190/2012 (legge-delega, cui doveva
conformarsi nei principi generali anche il successivo art. 7 della l. n. 124/2015, di
natura “integrativa e correttiva” dell’”originaria”) circoscriveva i destinatari degli
obblighi previsti ai soli titolari di incarichi “politici” o, comunque, di “esercizio di
poteri di indirizzo politico”, limitati ai ricordati ambiti pubblici statale centrale,
regionale e locale.
La stessa legge-delega, infatti, laddove aveva fatto riferimento all’estensione ad altri
soggetti, aveva esplicitamente richiamato, all’art. 1, comma 35, lett. d), i “titolari di
incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, del
d.lgs. n. 165 del 2001”.
Per il ricorrente, quindi, una corretta applicazione avrebbe dovuto tenere conto che
il comma 1 dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 esauriva già l’intero campo di esercizio
della funzione delegata di cui all’art. 1, comma 35, lett. c), l. n. 190/2012 e il
successivo comma 1-bis come introdotto, poteva essere letto – in una formulazione
costituzionalmente orientata – solo se riferito ai soggetti contemplati dal comma 1
che lo precede.
Ciò derivava anche dal carattere meramente integrativo della “nuova” legge-delega
n. 124/2015, che non forniva poteri ulteriori al legislatore delegato per estendere il
campo di applicazione della norma preesistente, coerentemente limitato a soggetti
titolari di cariche espressione del “circuito politico”, diversamente da quelli
rappresentati dai ricorrenti.
In più, non risultava neanche rispettato il principio della “norma espressamente
abilitativa”, sancito dall’art. 19 del d.lgs. n. 196/2003 (c.d. “Codice dei dati
personali”), se la pubblicazione dei dati dei ricorrenti doveva derivare da una mera
interpretazione estensiva o analogica, come quella fatta propria dall’ANAC.
Il ricorrente, quindi, chiedeva di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di
illegittimità costituzionale nel senso illustrato.
“III. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e del d.lgs. n. 33 del
2013. Violazione della Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24
ottobre 1995. Violazione degli artt. 2, 3, 14 e 117 Cost. e del diritto alla riservatezza e alla
sicurezza della vita privata. Violazione dei principi di proporzionalità e di appropriatezza.
Violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Eccesso di potere in tutte
le sue forme, per disparità di trattamento e violazione del principio di uguaglianza e del divieto di
non discriminazione.”
La norma di cui al (l’ultimo) decreto correttivo (art. 7, comma 2) aveva individuato
gli ordini professionali tra i soggetti a cui era applicabile la disciplina di cui al comma
1 solo in quanto tale disciplina fosse “compatibile”, per cui l’ANAC, ai fini della
possibile estensione, doveva motivare sulle relative ragioni e non invece, come aveva
fatto, limitarsi a non individuare incompatibilità.
A tale osservazione doveva aggiungersi che la contestata estensione violava anche le
disposizioni dell’Unione Europea in materia di divulgazione di dati personali, come
richiamate e interpretate dalla CGUE, anche nel rispetto dei principi di
proporzionalità e adeguatezza e dei diritti di cui agli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione, secondo espressa preoccupazione in tal senso
rappresentata dal Garante della privacy e dalla stessa ANAC in comunicazioni al
Ministro per la pubblica amministrazione, nel 2014 e nel 2016.
Sulla base di tali osservazioni, quindi il ricorrente, ove non ritenuta possibile una
disapplicazione “diretta”, chiedeva la rimessione alla CGUE della relativa questione
pregiudiziale che illustrava o, in via gradata, la rimessione alla Corte Costituzionale
della questione di illegittimità relativa alla violazione degli artt. 2, 3, 14 e 117 Cost.
“IV. Eccesso di potere in tutte le sue forme. Violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e ss.,
del r.d.l. 27 novembre 1993, n. 1578 e 36 della legge n. 247/2012. Illegittimità dell’estensione
della disciplina riservata alla Pubblica Amministrazione al CNF quale “pubblica giurisdizione”.
La non applicabilità della disciplina in questione al CNF doveva derivare anche dalla
circostanza per la quale esso è un giudice speciale “precostituzionale” - ai sensi degli
artt. 102 e 108 e della VI disp. trans. Cost. - che si pronuncia in materia disciplinare
e di iscrizione e cancellazione dagli albi nonché in materia di elezione dei Consigli
circondariali, come riconosciuto e delineato in numerose pronunce della Corte
Costituzionale, della Corte di Cassazione e della CGUE (che erano richiamate), per
cui non poteva definirsi una “pubblica amministrazione”, ai sensi della ricordata
normativa, ai fini dell’applicazione degli obblighi contestati.
Si costituiva in giudizio l’ANAC, affidando a una memoria per la camera di consiglio
l’illustrazione delle sue difese, orientate a rilevare l’infondatezza del gravame. In
primo luogo, però, l’Autorità eccepiva l’inammissibilità del ricorso, risultando le
Linee guide impugnate di carattere “non vincolante” e quindi prive di qualunque
contenuto lesivo diretto nei confronti del ricorrente, discendendo comunque gli
obblighi contestati direttamente dalla legge e non avendo dato luogo l’ANAC ad
alcuna sanzione. Anche il ricorrente depositava note difensive in prossimità della
camera di consiglio.
Con l’ordinanza cautelare in epigrafe, questa Sezione faceva ricorso alla fattispecie
di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a., fissando direttamente l’udienza di trattazione di
merito del ricorso.
In prossimità di questa, parte ricorrente e l’ANAC depositavano memorie a ulteriore
illustrazione delle proprie tesi difensive e la causa era trattenuta in decisione alla
pubblica udienza del 17 gennaio 2018.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, rileva la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità
del ricorso per impugnazione di atto non direttamente lesivo.
Valga in merito quanto già evidenziato dal Consiglio di Stato nel parere della
Commissione speciale n. 1257 del 29 maggio 2017, reso nell’adunanza del 20 aprile
2017, proprio sullo schema in tema di “Aggiornamento delle Linee guida per
l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza
da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle
pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”.
In tale pronuncia la Commissione ha infatti esordito, precisando che le Linee guida
in questione costituiscono un “atto non regolamentare”, mediante il quale l’ANAC
chiarisce la portata applicativa e le ricadute organizzative degli adempimenti stabiliti
dalla normativa di cui alla legge n. 190/2012 e al d.lgs. 33/2013, come novellato dal
d.lgs. 97/2016, a carico dei soggetti pubblici e privati sottoposti, al pari delle
pubbliche amministrazioni (anche se in misura non sempre coincidente), agli
obblighi finalizzati a prevenire la corruzione e ad assicurare la trasparenza nell’azione
amministrativa, rispetto ai quali l’Autorità ha una potestà di vigilanza.
Tale “potestà” è desumibile sia da quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lett. f), e
comma 3, l. n. 190/2012 cit. sia, nello specifico, dal combinato delle norme di cui
agli artt. 45, comma 1 e comma 4, 47, comma 3, e 48 del d.lgs. n. 33/2013, come
peraltro osservato in questa sede dalle difese dell’Autorità.
Nel suddetto parere, il Consiglio di Stato ha specificato, sul punto che qui rileva,
come le Linee guida in esame appaiano riconducibili al novero delle Linee guida
“non vincolanti”, mediante le quali l’ANAC “…fornisce ai soggetti interessati indicazioni
sul corretto modo di adempiere agli obblighi previsti dalla normativa e sull’adempimento dei quali
ha poteri di vigilanza, indicazioni che costituiranno parametro di valutazione per l’esercizio di tali
poteri e l’adozione dei provvedimenti conseguenti. Ne deriva, all’evidenza, che tali Linee guida non
siano immediatamente lesive, prendendo spessore l’eventuale lesività solo all’esito del procedimento
instaurato per “l’adozione dei provvedimenti conseguenti”.
Valga osservare sul punto che lo stesso Consiglio di Stato ha precisato – proprio per
la natura “non vincolante delle stesse – che comunque i destinatari ben “…possono
discostarsi dalle linee guida mediante atti che contengano una adeguata e puntuale motivazione,
anche a fini di trasparenza, idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa…e
che “…Al di fuori di questa ipotesi, la violazione delle linee guida può essere considerata, in sede
giurisdizionale, come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione che
si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.”.

La formulazione di tali Linee guida, quindi, sposa una “finalità istruttiva”,
richiamando e non parafrasando i precetti normativi, al fine di evidenziare i punti di
essi che necessitano di una scelta interpretativa, secondo le soluzioni adottate.
Già sulla base di tali osservazioni, quindi, se ne conclude che l’atto impugnato – nel
presente contenzioso esclusivamente la determinazione in epigrafe recante le Linee
guida in questione – è sfornito di contenuto lesivo diretto nei confronti dei potenziali
destinatari e dell’odierna parte ricorrente, risultando queste un mero atto di indirizzo
e supporto che può essere oggetto di impugnazione avanti al g.a. solo unitamente
all’atto specifico che, in applicazione di tale indirizzo ove recepito, incida in maniera
puntuale sulla posizione giuridica del destinatario.
Tale impostazione, d’altronde, è stata già esplicitamente affermata da questo
Tribunale in occasione della rimessione alla Corte Costituzionale della questione di
legittimità costituzionale – tra altri - dell’art. 14, comma 1 bis, d.lgs. n. 33/2013 cit.
in riferimento ai titolari di incarichi dirigenziali.

La Sezione Prima quater, infatti, nella relativa ordinanza (n. 9828/2017 del
19.9.2017), ha preso in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata
dalla difesa erariale e da una parte intervenuta in quel giudizio, secondo cui i
ricorrenti avrebbero dovuto provvedere alla previa impugnazione della delibera
ANAC n. 241/17, di approvazione delle Linee guida attuative dell’art. 14 del d.lgs.
33/2013, pubblicata in pendenza della controversia il 24 marzo 2017 (oggetto del
presente giudizio).
Ebbene, quel giudice ha avuto modo di precisare – con argomenti che il Collegio
pienamente condivide perché sopra riportati – che “…la favorevole valutazione
dell’eccezione non potrebbe indi che fondarsi sull’accertamento della natura vincolante delle
sopravvenute Linee guida Anac 8 marzo 2017, n. 241: solo in tal caso, infatti, i ricorrenti
potrebbero ritenersi sforniti di interesse alla coltivazione dell’impugnazione degli atti gravati con il
ricorso, atteso che, anche nel caso di una favorevole delibazione del gravame, con conseguente
annullamento degli stessi, i contestati obblighi troverebbero comunque fonte nelle predette Linee
guida, non fatte oggetto di impugnazione. Ma un siffatto accertamento è escluso dal parere del
Consiglio di Stato, Commissione speciale, n. 1257 del 29 maggio 2017, reso nell’adunanza del
20 aprile 2017, in ordine a uno schema di atto assunto dall’Anac sempre in materia di
trasparenza, la delibera di ‘Aggiornamento delle Linee guida per l'attuazione della normativa in
materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto
privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici’. In
tale parere è stato osservato (punto 3) come le linee guida in parola costituiscano, in esplicazione
della potestà di vigilanza affidata all’Anac dall’art. 1, comma 2, lettera f), della l. 6 novembre
2012, n. 190, e s.m.i., un atto di natura non regolamentare, che, nella misura in cui è volto a
chiarire la portata applicativa e le ricadute organizzative degli adempimenti stabiliti dalla
normativa di cui trattasi (legge 190/2012 e d.lgs. 33/2013, come novellati dal d.lgs. 97/2016),
è riconducibile al novero degli atti non vincolanti, ovvero che possono essere disattesi mediante atti
che contengano una adeguata e puntuale motivazione, idonea a dar conto delle ragioni della diversa
scelta amministrativa. Al di fuori di tale ultima ipotesi, ha chiarito il predetto parere, la violazione
delle linee guida può essere considerata, in sede giurisdizionale, come elemento sintomatico dell’eccesso
di potere, sulla falsariga dell’elaborazione che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.
Ed è noto che, per la giurisprudenza, le circolari non rivestono un rilevanza determinante nella
genesi dei provvedimenti che ne fanno applicazione, per cui i soggetti destinatari di questi ultimi non
hanno alcun onere di impugnare la circolare, essendo meramente facoltizzati (e quindi non onerati),
a contestarne la legittimità (C. Stato, IV, 16 ottobre 2000, n. 5506; 20 settembre 1994, n.
720).”
Ebbene, da tutto quanto premesso non può che discenderne l’inammissibilità del
presente ricorso per carenza di interesse, perché diretto avverso atto non
direttamente lesivo delle posizioni soggettive di parte ricorrente, che potranno essere
incise solo nel momento di applicazione “in concreto” di tali Linee guida, attraverso
l’adozione di sanzioni e di altri provvedimenti idonei.
Né può valere in senso contrario quanto osservato in merito dalla stessa parte
ricorrente nei suoi scritti difensivi.
Che l’atto abbia “portata generale”, infatti, non è un presupposto per considerare la
sua immediata lesività, come avviene per altri atti a diffusione generalizzata, come le
circolari prive di carattere vincolante, in quanto tali non impugnabili, come
evidenziato dalle pronunce di TAR e Consiglio di Stato sopra riportate.
E’ esclusa, poi, una portata immediatamente precettiva, dato che l’influenza diretta
di dette Linee guida è valutabile solo attraverso la loro concreta applicazione o
attraverso la loro immotivata disapplicazione, le cui conseguenze sono previste
dall’art. 47, comma 3, d.lgs. n. 33/2013 cit.
Così pure, la circostanza per la quale l’ANAC abbia ritenuto di sospendere “in
autotutela” l’applicazione del provvedimento nei confronti dei dirigenti non sta a
significare una sua immediata precettività ma risponde semmai a criteri di
opportunità, discrezionalmente e autonomamente valutati dall’Autorità, anche in
considerazione del su ricordato contenzioso pendente avanti alla Sezione Prima
quater di questo Tribunale.
Quanto finora illustrato in punto di inammissibilità del ricorso preclude anche
l’esame e l’approfondimento delle questioni di legittimità costituzionale e di
compatibilità con il diritto dell’Unione Europea, come proposte da parte ricorrente.
Stante il ritenuto difetto di attualità della lesione e l’assenza di concreto pregiudizio
e connesso interesse a ricorrere, infatti, si palesa evidente l’assenza di rilevanza delle
questioni prospettate in questo giudizio.
Da ultimo, si richiama l’ordinanza della Corte Costituzionale, 20.12.2017, n. 276,
proprio in tema di carenza di interesse attuale nel giudizio “a quo”, e la sentenza
della CGUE, Sez. III, 10.9.2015, n.687/13 – Dogana, secondo la quale “…Va
ricordato, al riguardo, che, secondo giurisprudenza costante, il procedimento in forza dell'articolo
267 TFUE si fonda su una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, di
modo che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve
assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado
di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte”.
Per tutto quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Per la novità della fattispecie, le spese di lite possono eccezionalmente essere
compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per
carenza di interesse.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 gennaio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ivo Correale Carmine Volpe 

1 commento

Giorgio Pernigotti

Giorgio Pernigotti14/03/2018 - 07:43

Buongiorno caro Simone, interessante pronunzia. Ti sono grato per la segnalazione e per la condivisione. Una felice giornata. GP