Anche la cessione del ramo d’azienda può nascondere infiltrazioni mafiose negli appalti
La cessione del ramo d’azienda costituisce una delle tipiche modalità mediante la quale le imprese colluse con la mafia consolidano la propria presenza nel mondo dell’economia e degli appalti. È questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, terza sezione, con una recente sentenza del 7 gennaio 2019.
Il caso
Una società operante nel mondo degli appalti aveva acquisito, in virtù di apposito contratto di affitto, il ramo di azienda di un’altra società, relativo all’“attività di impresa edile in genere, con particolare affermazione nelle costruzioni di opere pubbliche, di ingegneria civile, industriale e manutenzione e realizzazione di impianti elettrici e termomeccanici ospedalieri, civili ed industriali per l’esercizio dell’attività di lavori e servizi pubblici”. L’amministratore unico della società cessionaria, peraltro, prima di acquisire in affitto il ramo di azienda aveva svolto, per quasi vent’anni, attività di lavoro subordinato alle dipendenze della società cedente quale semplice impiegato amministrativo. Nel 2017 la società cedente veniva compita da interdittiva antimafia in quanto, a seguito di accertamenti effettuati dalle Forze dell’ordine, risultava a carico del relativo amministratore, una condanna penale emessa dal Tribunale di Reggio Calabria nella quale erano riportati anche i presunti rapporti di “cointeressenze” tra l’amministratore condannato e l’amministratore della società cessionaria del ramo d’azienda. A sostegno dell’emissione dell’informativa antimafia, la Prefettura aveva in particolare sottolineato che, nel caso di specie, “non può essere sottovalutata la circostanza che la cessione del ramo d’azienda sia stata effettuata tra soggetti che hanno sempre avuto interessi in comune”.
La società cedente impugnava l’informativa, eccependo - per quanto concerne la cessione del ramo di azienda – che tale scelta contrattuale non potrebbe ritenersi, sic et simpliciter, sintomo di scelte violative volte ad eludere provvedimenti ad effetto inibitorio, che avrebbero potuto pregiudicare l’impresa cedente o il suo titolare; a riprova veniva addotto, in particolare, che la cessione sarebbe avvenuta oltre due anni prima che all’amministratore della società cedente fosse notificato l’avviso conclusione indagini ex art. 415 bis c.p.p. e ben quattro anni prima che fosse lo stesso venisse condannato, ovverosia in un momento in cui la cessione del ramo d’azienda non avrebbe potuto – asseritamente – perseguire quelle finalità elusive indicate all’intero dell’informativa antimafia. Anche la determinazione del canone d’affitto, peraltro, sarebbe stata prova della mancanza di cointeressenze.
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