Assumeresti un* pallavolista, un* cosplayer o un* cinefilo?

I consigli per scrivere un curriculum di successo abbondano. Le ultime indicazioni suggeriscono di sostituire – alla voce “hobbies e tempo libero” – la dichiarazione di predilezione per i videogiochi rispetto a quella per la pallavolo, interesse alla quale per anni, nei curriculum, abbiamo attribuito valenza positiva in quanto denotante spirito di squadra, impegno per il raggiungimento di obiettivi e attitudini alla non aggressività. Così come valenza positiva abbiamo attribuito alla passione per il cinema e la lettura, denotanti capacità di approfondimento, di riflessione, di gestione autonoma del tempo libero.

I videogiochi, meglio se caratterizzati da situazioni di ruolo in costume (cosplay, appunto) e da interazioni notturne con parimenti appassionati del genere dall’altra parte del mondo, sembra siano diventati oggi una delle variabili positive attraverso le quali si dice che i selezionatori del personale cerchino di riscontrare nei cv dei candidati creatività, capacità di gestire lo stress, attitudine a relazionarsi con culture e situazioni diverse, autonomia nel conseguimento degli obiettivi.

Tralasciando l’aggravio di problematicità per i genitori di adolescenti che dovranno giustificare con i figli perché insistono sulla necessità di dedicare ore allo studio delle materie scolastiche piuttosto che ad un videogioco - che più utilmente, potrebbero sostenere gli adolescenti in questione, gli aprirebbe le porte del mondo del lavoro – il dubbio è sulla reale maggiore appetibilità che formulazioni siffatte aggiungono al curriculum, perlomeno di chi non si candidi ad una posizione nello specifico settore di produzione di servizi ludici.

Fuor di paradosso e pur tenendo conto della positività di tutto ciò che possa far emergere abilità che i percorsi formativi tradizionali non sempre riconoscono, il rischio è che l’autoreferenzialità nell’accertamento e dichiarazione di “soft skills” abbia come conseguenza la banalizzazione di competenze trasversali, che pure diventano sempre più importanti perché in un mondo del lavoro che evolve velocemente le potenzialità possono diventare importanti almeno quanto le conoscenze ed esperienze.

Se la comunicazione che si dà agli aspiranti lavoratori è indifferenziata e tesa a far valorizzare in maniera generica il possesso di soft skills, il risultato potrebbe essere l’inflazione dell’inserimento di frasi fatte – i curriculum sono pieni di auto dichiarazioni di possesso di capacità di adattamento, resistenza allo stress, leadership, problem solving e perizia nel lavorare per obiettivi – e la conseguente elisione reciproca del valore aggiunto rappresentato da tali caratteristiche.

E’ evidente che essendo il problem solving  un’abilità difficilmente codificabile e attestabile, chiunque potrà autodichiararla nel proprio curriculum, associandola parimenti sia all’applicazione costante nel superare i livelli di un videogioco che all’aver evitato con la consegna di un buono sconto la scenata pubblica di un cliente insoddisfatto.

Ed è altrettanto evidente che, lo stesso selezionatore, potrà ritenere utile, per un tipo di posizione lavorativa la capacità di lavorare in gruppo e per un’altra posizione l’autonomia nel darsi degli obiettivi e raggiungerli. E quindi la stessa soft skills potrebbe non essere valutata con egual peso in due casi diversi.

Il suggerimento, quindi, è di inserire nel curriculum solo elementi di verità, sapendo che difficilmente il valore aggiunto che farà si che si venga convocati per un colloquio sarà la dichiarazione o meno di saper gestire lo stress o di saper comunicare. Anche perchè le soft skills, più delle competenze tecniche, si rivelano all’occhio di un selezionatore esperto già durante il colloquio di lavoro. E lì, si, possono fare la differenza.

2 commenti

GIUSEPPE LEO

GIUSEPPE LEO18/09/2019 - 22:36

Quando ero ragazzino, una persona a me molto cara mi disse testualmente: " Giuseppe cerca di apprendere molte cose nella vita e fanne tesoro, al momento opportuno usa ciò che hai appreso ........ e ricorda sempre che uno nella vita più sà e più vale ". Dico questo perchè qualsiasi autodichiarazione nel curriculum non veritiera, resa da un aspirante lavoratore qualsiasi, un buon selezionatore la riconosce ad occhi chiusi. E' chiaro che più sono veritiere le dichiarazioni sulle competenze e su ciò che si sa fare e più si può trovare il lavoro ad un aspirante lavoratore. Bisogna far capire all' interlocutore che il presentarsi come si è veramente ( senza barare su titoli, competenze , abilità ..... ecc. ) con i propri pregi e le proprie carenze ( se c'è ne sono ). Quando una persona dice la verità non ha niente da temere. Solo così, mostrandosi per ciò che si è nella vita reale ed agendo con correttezza, un aspirante lavoratore può essere aiutato a trovare lavoro. Un discorso a parte poi và fatto per i SELEZIONATORI, ........ ma ciò non è argomento di trattazione.

tonia maffei

tonia maffei18/09/2019 - 22:52

grazie per le riflessioni